Sony BMG: musica senza DRM nel 2008. Un commento

di Redazione 2

Sony

Secondo quanto riportato da Business Week, Sony BMG si prepara ad offrire il proprio catalogo musicale senza protezioni DRM. Ultima delle grandi major ad operare questa scelta dopo Warner,Emi e Universal, Sony potrebbe essere spinta ad operare questa decisione da un grosso accordo pubblicitario con Pepsi che coinvolgerebbe uno dei nomi più grandi del suo parco artisti: Justin Timberlake.

Fonti del settore informano che con una mossa simile a quella che vide unite Apple e Coca Cola nel 2004, Sony e Pepsi si preparerebbero ad offrire 2 miliardi di canzoni DRM Free a fini pubblicitari agli acquirenti della nota bevanda. Justin Timberlake è indicato come il volto di questa enorme campagna che verrà lanciata in occasione del Super Bowl, l’avvenimento sportivo più seguito d’America.
Ciò che potrebbe infastidire non poco i ragazzi di Cupertino è il fatto che il partner di Sony e Pepsi per la distribuzione degli mp3 sarà quasi certamente lo store online di Amazon.
Il piano delle grandi etichette musicali, che già si poteva intuire dopo le dichiarazioni di fine anno di Warner Music Group, si va delineando con chiarezza sempre maggiore: le grandi label voglio indebolire il predominio di Apple sul mercato della distribuzione digitale nell’intenzione soprattutto di convincere Apple a rivedere le proprie politiche in termini di prezzo.

Con una mossa che mette in luce le dinamiche da cartello malavitoso messe in campo dalle grandi società della produzione musicale, Warner e Sony sembrano prepararsi alla creazione di una sorta di trust dell’industria musicale, al fine di mettere alle corde Apple e l’iTunes Store. Le teste d’uovo dei due grandi gruppi musicali non vogliono sentire ragioni: i prezzi delle canzoni li devono decidere loro e se l’abbandono dei DRM può aiutare in questa direzione , ben venga anche la tanto osteggiata liberazione dei contenuti musicali. Non importa il fatto che fu proprio Steve Jobs a proporre la soluzione dell’abbandono dei DRM come una chance per l’interoperabilità degli store online. Le politiche di Apple non vanno giù ai dinosauri dell’industria musicale che con un ritardo mostruoso sembrano arrivare solo adesso a capire che il sistema di protezione dei brani finora utilizzato danneggiava solamente coloro che accettavano di comprare legalmente la musica, costretti a mille sotterfugi per poterla riprodurre in dispositivi diversi da quelli imposti dall’alto, e non il grande bacino della pirateria che continua a distribuire gratuitamente qualsivoglia contenuto.

Contrastare la pirateria, secondo le parole dello stesso Jobs, non vuol dire creare leggi che sbattano in galera chi scarica canzoni da internet, ma vuol dire fare concorrenza ad un sistema consolidato con un offerta migliore, mettendo a disposizione degli utenti un servizio il cui prezzo è giustificato dai benefici ottenuti. La grande industria musicale non ammetterà mai che la grande crisi della distribuzione tradizionale che ha segnato gli ultimi anni è da attribuire principalmente alle scelte commerciali truffaldine messe in atto dalle grandi etichette: la forma commerciale dell’album è la pedina fondamentale del gioco che le major si sono ostinate a portare avanti in queste ultime due decadi. Raccolte dal costo medio superiore a 20 euro in cui le due o tre canzoni importanti sono sommerse da mezz’ora di riempitivi di bassissima qualità musicale – fatti salvi grandi musicisti che hanno trasformato l’album in un vero mezzo di espressione artistica- sono certamente una delle ragioni principali che può spingere un utente a scaricare illegalmente le canzoni di proprio interesse. La possibilità offerta da iTunes di scaricare i singoli brani rientra da sempre in quest’ottica di concorrenza alla pirateria, così come la scelta di impedire alle etichette di stabilire i prezzi e di definire dei contenuti Premium.

Con questa guerra non dichiarata ad Apple, pur se nascoste dietro la maschera libertaria dell’abbandono dei sistemi anticopia, le grandi major sembrano rimettere in atto quei medesimi atteggiamenti che hanno portato alle scelte sbagliate degli ultimi anni. Scelte dettate dalla necessità di massimizzare il profitto, snaturando completamente il significato della creazione musicale e producendo meccanismi malati, il cui malfunzionamento è poi facilmente imputabile a coloro che scelgono la pirateria invece di sottomettersi all’egemonia di chi vuole commercializzare l creazione artistica al pari di un qualsiasi prodotto commerciale.

Commenti (2)

  1. Il DRM (stando alla definizione della SIAE, la società italiana autori ed editori) viene definito “Diritti Riproduzione Musicale” ed è il micro stipendio dell’autore. Com’è possibile credere che l’autore possa sopravvivere se gli viene tolto l’unico riconoscimento economico del suo lavoro? Questa è un’azione che non tiene conto del rispetto verso chi crea il prodotto ed è come se una grande azienda, con la scusa che ha in magazzino milioni di prodotti da evadere togliesse lo stipendio ai suoi operai che producono il prodotto stesso; quando i magazzini saranno vuoti e le idee sfruttate fino all’osso, gli operai se ne saranno andati o saranno morti di fame e ci si accorgerà che il fallimento è totale. E se fosse proprio questa la motivazione per cui la qualità della comunicazione musicale è arrivata a livelli di aberrazione mai visti prima d’ora? Quando un uomo lavora per poter comprare da mangiare, da vestire, pagare le bollette, gli affitti e per provvedere a far funzionare la famiglia (unica garanzia del nostro futuro) e come scambio riceve un atto criminale che gli porta via lo stipendio che è l’unica certezza di sopravvivenza possiamo stare certi che il problema non è solo dell’autore ma dell’intera società che permette questo e i fatti che osserviamo ogni giorno ne sono la prova certa. La musica è una forma di comunicazione universale che aiuta gli animi ad avere momenti di felicità, lasciare che muoia senza fare nulla genererebbe solamente un’arte senza vita che potremmo collocare solamente in un immeso cimitero, il cimitero della musica. Con tanto rispetto per chi ascolta e ama la musica e i propri simili. Walter Bassani (autore)

  2. Caro Walter ti rispondo da autore ( musicale, iscritto SIAE). Vorrei farti presente che in realtà l’acronimo DRM significa Digital Right Management e non ha nulla a che vedere con la riproduzione. Per DRM si intendono tutti i meccanismi anticopia che non permettono all’utente di effettuare talune operazioni con la musica che ha acquistato, come ad esempio masterizzarla su CD o trasferirla su tutti i riproddutori musicali o su più di cinque computer. I DRM non hanno nulla a che vedere con i diritti che vengono corrisposti agli autori. Non serve entrare nel merito di una discussione sul copyright in questo caso ( che prenderebbe un’intero post. Ti dico solo che io credo molto poco nella Siae e molto più nelle nuove forme digitali di tutela dell’autore come le creative commons e simili, se vuoi contattami per una discussione più estesa). I DRM sono una limitazione per gli acquirenti che fanno solamente il gioco delle Major e sono stati introdotti per convincere i dinosauri delle grandi case discografiche ad intraprendere la strada digitale nel modo più sicuro possibile. Lo stesso Steve Jobs si dice fautore di una liberazione della musica dai DRM, perchè sa che in realtà mettere in dubbio la fiducia del consumatore con circonvenzioni di questo tipo è un’arma a doppio taglio.

    I famigerati DRM di SIAE, che non hanno nulla a che vedere con questi, sono una bella dose di fumo negli occhi, caro Walter, che in fondo servono solo a spillare dei gran soldi ai locali pubblici. Credo tu sappia come funziona il meccanismo di assegnazione dei diritti SIAE: il calderone di denaro che viene principalmente distribuito ai grandi nomi secondo l’insulsa regola che chi vende di più avrà diritto ad un maggior rientro in termini di diritti perchè si suppone che le suo opere siano le più trasmesse, o ancora il fatto che ai piccoli autori vanno soltanto i diritti espliciti da borderò, un modulo che alla lettura ottica 90 volte su cento riporta un qualche errore ( in tal caso i proventi fluiscono nel medesimo calderone). Tutto questo in America o anche negli altri paesi europei non esiste. La commissione europea non fa che comminare sanzioni all’Italia sulle questioni inerenti il diritto d’autore, perché la SIAE è una sanguisuga che arricchisce soltanto gli “allineati” con la pretesa di difendere il diritto di tutti gli autori e bollando come pirati tutti coloro che osano criticare questo sistema antico e corporativo, tipicamente italiano.

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