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Esplosione di Chengdu, Foxconn sapeva del problema delle polveri?

Venerdì scorso una violenta esplosione ha distrutto uno degli edifici dello stabilimento Foxconn di Chengdu, uccidendo tre dipendenti e ferendone circa una ventina. La causa dell’incidente, ha spiegato l’azienda, è stato l’imprevisto accumulo di polvere di alluminio nel sistema di ventilazione nel settore della fabbrica destinato alla lucidatura e pulitura degli iPad 2.
Foxconn si sta sforzando di far apparire l’esplosione come una fatalità imprevedibile grazie al consueto sforzo mediatico gestito da PR occidentali. La storia che racconta l’associazione cinese SACOM (Students and Scholars Against Corporate Misbehaviour) in un rapporto di due settimane fa (download PDF) è molto diversa e parla di problemi già noti, che Foxconn avrebbe volutamente ignorato.

Nel rapporto, eloquentemente titolato “Foxconn e Apple non hanno mantenuto le promesse: le avversità per i dipendenti dopo i suicidi” e suffragato da un articolo esplicativo approfondito, la SACOM descrive una situazione di degrado e caos e torna a denunciare la militarizzazione del lavoro, lo sfruttamento dei dipendenti e la scarsa attenzione alla sicurezza e alla salute degli operai dello stabilimento di Chengdu.
Quello di Chengdu è uno dei nuovi stabilimenti del gigante della produzione elettronica, costruito a tempo record per aumentare la produzione in vista di nuove laute commesse da parte delle grandi aziende occidentali, Apple e HP in testa, e per rilocalizzare le produzioni precedentemente centralizzate a Shenzen, città-fabbrica epicentro del “problema suicidi”.

In un passaggio in cui si parla delle condizioni igieniche del luogo di lavoro a Chengdu si legge che: “i lavoratori del reparto lucidatura lamentano la continua presenza di polvere di alluminio nel reparto. Anche se possono indossare i guanti, le loro mani sono sempre ricoperte di polvere, così come le loro facce e i loro vestiti. Alcuni dipendenti suggeriscono che la ventilazione al piano in cui avviene la produzione andrebbe migliorata.”

La polvere di alluminio, in alcune particolari condizioni, può incendiarsi, liberando idrogeno e provocando una reazione a catena esplosiva, come quella che con ogni probabilità è avvenuta venerdì scorso a Chengdu.

Molti analisti, negli ultimi giorni, si sono preoccupati più che altro di capire se questo “fastidioso intoppo” impatterà in qualche modo sulla produzione degli iPad 2, causando ritardi nella disponibilità del prodotto. Affrontare seriamente il problema della produzione e cercare di capire se questo modello, di cui l’episodio di Chengdu rappresenta solo un esempio, sia davvero sostenibile e per quanto tempo, non sembra invece occupare alcun posto nella loro agenda.

Il problema, di cui si è discusso più volte in passato, non riguarda ovviamente solo Apple, ma anche tutte le altre grandi aziende che producono gli oggetti elettronici che utilizziamo quotidianamente. La scrupolosa politica di controlli e ispezioni che Apple ha intrapreso da diversi anni, che prevede la pubblicazione di un rapporto “etico” annuale sulla produzione, potrebbe non essere abbastanza, soprattutto nel seguire i rapidi sviluppi di nuovi stabilimenti come quello di Chengdu, costruiti con tempistiche impensabili per qualsiasi organizzazione occidentale. Rinunciando ancora una volta, a quanto pare, alla garanzia di alcuni dei fondamentali diritti dei lavoratori occupati presso lo stabilimento.

Aggiornamento: buone notizie. Secondo quanto riporta questa mattina il Wall Street Journal, Foxconn ha chiuso temporaneamente tutti i reparti che si occupano della lucidatura per effettuare ispezioni dettagliate e sincerarsi che non si possano ripetere le condizioni che hanno provocato l’esplosione nella fabbrica di Chengdu.

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