Apple e iTV, il prodotto dalle mille incognite

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Uno dei tanti mockup della iTv

Come avrete probabilmente notato, nelle ultime settimane sono tornati in auge tutti i rumor che vorrebbero Apple al lavoro su una fantomatica iTV, ovvero una versione di Apple TV integrata direttamente in un televisore. E’ una di quelle Apple-chimere di cui si parla ciclicamente da anni. Tuttavia a scatenare la ridda di indiscrezioni a questo giro non è stata l’ennesima soffiata asiatica al DigiTimes, ma un passaggio della biografia autorizzata di Steve Jobs, quello in cui il CEO di Apple rivela a Walter Isaacson di aver finalmente trovato il metodo (“I finally cracked it” dice Jobs) per rendere possibile un prodotto come l’iTelevisore.
Intanto Google TV stenta a decollare e Logitech, che produce il set top box “Revue” in collaborazione con Big G,  si smarca dal progetto, ammettendo di aver commesso un errore nell’accettare la partnership. Sony invece è intenzionata ad arrivare sul mercato con nuovi prodotti prima che l’eredità di Steve Jobs produca qualcosa di concreto. O almeno così sostiene il CEO Howard Stringer.

La strategia (di fuga)

Il fatto assodato, per adesso, è che quanto affermato da Steve Jobs alla D8 conference del 2010 è ancora valido. Ecco quanto scrivevo nel nostro articolo su quella lunga intervista:

In buona sostanza il problema sta tutto nell’impossibilità di innovare in un mercato che non ha una strategia che consenta di vendere un set top box. Decoder et similia sono da sempre offerti in comodato d’uso in cambio di un pagamento del servizio. E’ una Babele di formati e di offerte senza che vi sia uno standard (come il GSM per i telefoni) che possa essere utilizzato come nel settore telefonico per creare un prodotto disponibile ovunque con le stesse caratteristiche.

E’ la conclusione cui è giunta anche Logitech dopo l’esperienza Google TV. Il Presidente del C.d.A. dell’azienda, Guerrino De Luca, ha confermato ad analisti e giornalisti che il set top box Revue non ha riscosso il successo sperato e ha comportato una perdita di 100 milioni per l’azienda. Questo “errore”, De Luca l’ha definito proprio così, non si ripeterà: Logitech si tira fuori dal consorzio Google TV e nonostante Big G abbia annunciato diverse novità al progetto giusto due settimane fa, il produttore di periferiche non ha intenzione di far parte della cordata che le sperimenterà sul mercato.

Un hobby integrato

A pochi mesi dall’intervista di Jobs alla D8, Apple ha sfornato la Apple TV di nuova generazione. Ancora un set-top-box, ancora un prodotto che l’utente deve comprare a parte rispetto al televisore, anche se integrato con iPad e iPhone. Questo shift verso la natura di piccolo “trasformatore” capace di gestire la comunicazione fra i dispositivi Apple e il televisore, con contorno di integrazione spinta con l’ecosistema iTunes, ha fatto della nuova Apple Tv di ultima generazione un successo. Impossibile, un anno e qualche mese fa, non notare la lampante contraddizione fra il nuovo prodotto e il Jobs pensiero sui set-top-box.

In realtà non c’erano contraddizioni già allora: Apple TV è rimasta un hobby, non ha avuto alcuna pretesa di rivoluzionare la TV come la conosciamo. E anzi, ha avuto fortuna perché si è allontanata ancora un po’ dal concetto di set-top-box televisivo, per strizzare l’occhio all’integrazione Wi-Fi con i diffusissimi dispositivi Apple grazie a  funzioni come AirPlay e il nuovo Air Mirroring per gli iPad 2 con iOS 5. Basta uno sguardo allo spot iPhone dedicato ad AirPlay (quello accusato di veicolare un messaggio ingannevole) e il posizionamento di Apple TV all’interno degli Apple Store per scorgere in trasparenza, molto chiaramente, la filigrana di questa intelligente strategia di marketing.

Fin qui sappiamo che cos’è diventata Apple TV: un hobby di successo, che alla fine dell’anno ci va almeno pari e nel frattempo magari fa vendere qualche dispositivo iOS in più.Abbiamo ancora davanti una marea di incognite sul metodo con cui Steve Jobs avrebbe definitivamente sciolto il nodo dell’introduzione di un iTelevisore e un solo grande elefante in salotto. L’elefante si chiama iCloud: tutto fa pensare che se la nuova TV Apple passerà per la rete, non potrà che avvalersi dell’integrazione con il nuovo hub digitale remoto, fulcro del nuovo digital lifestyle in questi anni ’10 del nuovo millennio.

Chi tiene il telecomando?

Il “come” tutto ciò possa avvenire è, ovviamente, l’incognita più grande. Ma ci sono anche varie altre incognite secondarie: se a Apple possiamo attribuire un limite è quello di aver sempre pensato le proprie innovazioni in maniera fortemente U.S.A.-centrica. Il primo mercato da affrontare è sempre quello di casa, poi ci si arrangia nell’esportazione all’estero. Questo modello (l’unico possibile per un’azienda il cui cervello pensante pulsa a Cupertino, intendiamoci) ha dimostrato qualche limite nell’ambito dei contenuti localizzati. Sono dovuti passare anni prima che i movie rentals potessero finalmente approdare anche qui da noi. In piccolo, basti vedere quel che è successo con iBookstore e gli editori.

Laddove ci sono detentori di contenuti e soprattutto detentori di diritti, si nascondono lunghi negoziati, estenuanti trattative, secchi rifiuti a proposte e piani di distribuzione. E’ normale, è il mercato. Apple è riuscita a scardinare questo meccanismo nell’industria discografica (e in quel caso, ahinoi, il contributo di Jobs è stato più che mai fondamentale). Ma in che modo può riuscire a farlo adesso per i contenuti televisivi se dall’altra parte della barricata ci sono centinaia di network e non soltanto quattro grandi sorelle monopoliste che si spartiscono un mercato che rischia di sparire? Può riuscirci un grande network alla volta, forse, ma anche in quel caso, come verranno gestiti i diritti internazionali?

Forse il problema è il modo in cui pensiamo alla televisione, strumento di fruizione fortemente passivo che fa leva sull’inerzia della stragrande maggioranza dell’utenza. Dare una maggiore scelta allo spettatore con l’integrazione di contenuti on-demand all’interno di un televisore immagino sia la forma che tutti diamo ad un possibile iTelevisore, ma continuiamo a fare l’errore di pensare ad una Apple Tv con schermo integrato. E questo cozza fortemente con una lunga serie di problemini tecnici, come il bassissimo margine che i produttori ricavano da ogni apparecchio.

Ci prova anche Sony

Il problema lo sente anche Sony. Il CEO dell’azienda, Howard Stringer, ha parlato con il Wall Street Journal e ha svelato i piani per la realizzazione di un “nuovo tipo di televisore”. Fra i problemi da risolvere c’è proprio quello dei bassi margini. Ormai produrre un televisore è diventata un’attività che genera una perdita. Anche la soluzione di Stringer passa per l’integrazione con un ecosistema più ampio. Sony, fra i concorrenti di Apple, è quella che ha tutte le carte in regola per proporre una strategia integrata che possa davvero portare su un tv del futuro contenuti di ogni genere.

L’azienda sembra seriamente intenzionata a non commettere lo stesso errore dei primi anni 200o, quando non vide quello che il Walkman poteva diventare. Già allora Sony aveva la potenza di fuoco necessaria per fare quello che invece finì per fare Apple da outsider: un lettore multimediale che incarnasse lo spirito del mangianastri portatile di Akio Morita e che si integrasse con un ecosistema semplice e immediato per la vendita di contenuti, prima solo musicali e poi via via sempre più multimediali. Non a caso Stringer ha fatto capire di voler arrivare prima “dell’eredità” di Steve Jobs, qualunque cosa questo significhi.

Come già accennavamo, i network televisivi non hanno di fronte il problema della pirateria dilagante che li spinga a decisioni drastiche (le major del disco non sapevano più dove sbattere la testa a inizio millennio) e si trovano benissimo a sfornare contenuti di bassa lega necessari  a riempire i palinsesti. Siamo proprio sicuri che ci sia un modo per convincere questo tipo di contenitori a salire sulla carro della “tv del futuro”?

La tv per spegnere il cervello

C’è infine una nota di colore, che però la dice lunga sulle difficoltà che l’inerzia atavica dello spettatore televisivo presenta a chiunque si voglia cimentare nello sviluppo della tv di domani. “Se ti siedi davanti al televisore è perché vuoi spegnere il cervello per una mezz’ora dopo una giornata faticosa”, diceva Jobs al pubblico della CAUSE conference 1998. In quell’occasione Steve si spinse oltre affermando che secondo lui non ci sarebbe mai stata una vera convergenza fra PC (“lo usi per accendere il cervello”) e i televisori (“li usi per spegnerlo”). Diciamocelo francamente: a 13 anni di distanza questa considerazione è ancora abbastanza vera. L’integrazione “fisica” fra PC e TV non c’è stata e non ci sarà di sicuro nella post-PC era. C’è stata una commistione di contenuti, nuove modalità di distribuzione tramite Web grazie ad iTunes ed altri servizi più recenti, ma nessuna reale convergenza.

Se dunque questo fantomatico Apple-televisore arriverà mai, dovrà essere dirompente, sconvolgere il mercato come ha fatto l’iPhone con la telefonia o inventarne uno completamente nuovo, come ha fatto l’iPad. Se c’è un’azienda che si può permettere questo tipo di approccio quella di sicuro è Apple, grazie ad una ormai assodata capacità nel rivoluzionare mercati maturi per essere stravolti. Ma la verità è che questa “maturità” nel mercato televisivo globale non si vede. Ci sono poteri forti a difendere uno status che più quo non si può, implicazioni di natura politica (non solo in Italia, dove ci sarebbe da aprire un capitolo a parte) e mille altre prospettive frammentate. Se Apple riuscirà in un impresa come questa, forte della vociferata eredità produttiva di Steve, sarà senza dubbio un’altra grande sorpresa.

 

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