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Dagli ad AAPL: secondo Yeung (Citi) nel Q2 Apple non supera la guidance

Ieri il titolo AAPL si è rapidamente rimangiato quanto di buono aveva fatto nella sessione di martedì scorso.
Il “merito” della giornata storta va tutto ad una serie di report pubblicati da vari analisti che hanno continuato a cavalcare l’onda del sentimento negativo nei confronti di Cupertino. Fra tutti spicca Glen Yeung di Citi, secondo cui Apple non riuscirà a superare le proprie previsioni per il trimestre, che l’azienda aveva fornito in una nuova “versione” proprio per evitare il toto-fatturato da parte degli analisti. Nel frattempo un analisi pubblicata da ComScore e largamente ignorata da Wall Street mostra come l’iPhone abbia sensibilmente guadagnato terreno su Android nel corso degli ultimi mesi.

Il report di Yeung spicca fra la pletora di sciamani della sventura Apple imminente che nel corso degli ultimi tempi hanno fatto sentire la propria voce perché secondo le previsioni dell’analista Apple non sarà in grado neppure di superare la guidance di 41-43 miliardi di dollari fornita dal CFO Oppenheimer per questo secondo trimestre dell’anno fiscale 2013.
Yeung dice 40,5 miliardi nella migliore delle ipotesi, mezzo miliardo al di sotto della previsione ufficiale.

Chiariamo: se così fosse aspettiamoci pure un altro sensibile crollo del titolo, a meno che improvvisamente Wall Street non cambi la sua attuale percezione dell’azienda di Cupertino, ma ricordiamo anche che ogni dichiarazione finanziaria di questo tipo è un “future statement” che le aziende solitamente non danno mai per assodato e che può essere soggetto a fattori non preventivabili. Nessuna scusante, ma è semplicemente l’avvisto che Apple propone prima di ogni conference call sull’annuncio dei risultati fiscali, tanto per capirci. Non che questo ovviamente faccia qualche differenza per gli analisti.

A rendere pessimista un’analista come Yeung, che comunque ha alle spalle una lunga storia da “bear” nei confronti del titolo Apple, sarebbero le sue ricerche sul campo presso la catena produttiva (in altre parole i suoi channel check, solo che non li può chiamare così perché i channel check sono al limite della legalità).
Da questo “lavoro d’indagine” salterebbe fuori una riduzione sensibile delle richieste di componenti per la produzione di iPhone e iPad che si collega quindi ad una diminuzione della domanda per i due prodotti.

Anche in questo caso il calo fisiologico del Q2 legato alla necessità di snellire i magazzini che si riempiono nel Q1 non viene messo nel conto e scartata immediatamente, nonostante l’invito di Tim Cook a non leggere troppo in trasparenza in questo tipo di dati che arrivano dalle catene di produzione.
La “supply chain” è una roba complicata, aveva spiegato, in breve, il CEO Apple: voler prendere un dato come punto fermo per un’analisi generale non è un buon metodo, perché i fornitori sono tanti, la richiesta e i livelli di produzione dinamici e le variabili, in generale, molteplici.

E mentre Citi dice la sua nella direzione che ultimamente più aggrada a Wall Street, da ComScore arriva un dato in controtendenza. Nel periodo che va da ottobre alla fine di gennaio, Apple ha guadagnato 3.5 punti percentuali di market share nel mercato smartphone statunitense, a scapito di Android che invece ha perso l’1,3%. Il sistema operativo di Google rimane comunque il più diffuso, con il 53,6% di quota di mercato.

Fra i produttori di smartphone Apple mantiene il primo posto, con il medesimo 37,8% dell’altra classifica, ovviamente, mentre al secondo posto Samsung tocca quota 21,4% (+1,9%).

Come dice giustamente John Gruber adesso non resta che attendere per vedere in che modo il Wall Street Journal riuscirà a trasformare anche questi dati in una cattiva notizia per Cupertino.

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