Apple cala, poi risale: la “fionda” è carica per i risultati del Q2

di Redazione 2

Nel corso degli ultimi mesi le azioni Apple sono cresciute costantemente, contraddicendo in pieno le previsioni di chi sospettava un crollo drastico del titolo dopo la dipartita di Steve Jobs.
Le recenti decisioni finanziarie come il piano di stock buyback e di concessione dei dividendi hanno contribuito a spingere ancora più in alto AAPL. Almeno fino a qualche giorno fa, quando “improvvisamente” il titolo ha cominciato a scendere, assestandosi lunedì, in chiusura, sui 580,13$ per azione, -9,99% rispetto al picco di 644$ registrato il 10 aprile scorso.

Ieri il titolo ha di nuovo saggiato i 600$ recuperando terreno e capitalizzazione per poi chiudere a 609,70$ (+ 5,1%) ma nel frattempo il Wall Street Journal ha già provveduto a dare ampia copertura a questa “correzione”.
Ed è comprensibile, visto che si è trattato di un calo che per quanto percentualmente piccolo ha comunque bruciato l’equivalente di una H.P. (~48 miliardi) in pochi giorni.
Ma se da una parte è naturale prestare attenzione al passo falso del gigante, dall’altra è pure interessante notare, come ha fatto P. Elmer-DeWitt su Fortune, che un simile calo, a così poca distanza dall’annuncio dei risultati fiscali del Q2, previsti per il 24 aprile, nasconde dei meccanismi finanziari che gli investitori più oculati hanno imparato a sfruttare.

“Certo, ci sono stati alcuni report negativi che potrebbero aver innescato qualche vendita,” scrive Elmer-DeWitt su Fortune. “La divisione antitrust del Dipartimento di Giustizia ha fatto causa ad Apple e altri 5 editori lo scorso giovedì per un presunto cartello nel mercato degli ebook.
Ma ciò non giustifica quei 36 miliardi di market cap spazzati via (più altri 23,4 miliardi lunedì mattina). […]
E il titolo, come potrà dirvi qualsiasi trader tecnico, era ipercomprato e maturo per un po’ di profit-taking”.

Le premesse insomma, c’erano, ma non erano sufficienti. Quello che secondo il giornalista di Fortune è successo nei giorni scorsi si può spiegare con quella che Jason Schwarz, autore di The Apple Revolution, chiama “slingshot”, “la fionda”.

La tendenza del titolo dopo ogni annuncio dei risultati del Q2 negli ultimi sei anni ha sempre avuto il segno più davanti. Nel 2011 +8,29% il giorno successivo all’annuncio dei risultati. Nel 2010 ancora meglio: +14,63%. Di media, dal 2006 ad oggi, la crescita del titolo è stata del 3,67%.
Certo, una tendenza storica non è assicurazione di un bel niente, a Wall Street e il 25 aprile prossimo il titolo potrebbe scendere ancora.

Ma agli investitori e ai manager dei grandi hedge fund, coloro che possono davvero muovere il titolo, quella tendenza basta e avanza per provare a sfruttare la famigerata “slingshot”. Ecco come la spiega in breve Jason Schwarz:

“Se puoi tenere basso un buon titolo allora puoi incamerarne un po’ per la successiva corsa verso l’alto. E’ come una fionda: più tiri e maggiore sarà la propulsione generata”.

Questa analisi, formulata nell’ambito di una disamina più ampia dei motivi per cui “Apple è il titolo più amato da chi va short”, era stata formulata ad agosto 2009, quando il titolo Apple indugiava ancora sui 160$ per azione.
La teoria è ancora valida oggi, con la sola differenza che il potere di influenzare gli indici generali da parte di AAPL viene drasticamente amplificata dalla “pesantezza” del titolo. Per farla breve: fluttuazioni nell’ordine del 10% sul titolo da 600$ della prima azienda del mondo per capitalizzazione azionaria vengono avvertite decisamente di più, rispetto a quelle di un titolo medio che valga meno di 300$.

Aumenta dunque la “remuneratività” di un’operazione del genere per gli addetti ai lavori. Il problema, però, è che allo stesso i veri azionisti non speculativi potrebbero “leggere male” un sell-off della portata di quello cui abbiamo assistito nei giorni scorsi e quella che doveva essere solo una mossa speculativa per i grandi fondi trasformarsi in una palla di neve dagli effetti imprevedibili. Non è automatico e non è detto che debba succedere per forza, ma è un rischio che c’è. A mitigarne la portata, va detto, ci sono gli outlook superpositivi delle grandi potenze dell’analisi finanziaria, per le quali i 1000$ ad azione come prezzo obiettivo per AAPL non sono più un tabù. Non bastano le headline sensazionalistiche e talvolta palesemente false di MarketWatch per metterli in dubbio.

La cosa più interessante, da un punto di vista meramente antropologico, invece, è la pletora di commenti alla copertura mediatica del calo AAPL di questi giorni. La parola “bolla” è probabilmente la più utilizzata. Tanti fanno riferimento al crollo di Cisco nel 2000, stock eccessivamente prezzata e gonfiata nell’ambito della nota bolla speculativa delle dot com.
Sentire parlare di bolla Apple, un’azienda strettamente legata alla produzione industriale di beni elettronici di consumo, con profitti nell’ordine delle decine di miliardi di dollari a trimestre, fa quanto meno sorridere.
O se preferite fa proprio sbellicare, nei giorni in cui Facebook, azienda prossima ad una IPO stratosferica da cento miliardi, viene osannata per l’acquisizione Instagram (35 milioni di utenti non paganti, nessun business model in vista, nessuna revenue) per la modica cifra di 1 miliardo di dollari.

Commenti (2)

  1. con profitti nell’ordine delle decine di migliaia di dollari a trimestre

    Forse volevi dire nell’ordine delle decine di MILIARDI di dollari a trimestre :)

    Comunque io ne ho prese altre a 585 ;)

    1. Ovvio che si, corretto! :) Grazie della segnalazione.

      P.s. la chiusura di ieri ti ha subito dato ragione :)

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