Apple Macintosh 128k e il testimonial che non t’aspetti

“Creare uno standard significa creare qualcosa che non sia solo un po’ diverso. Significa creare qualcosa che sia veramente nuovo e catturi l’immaginazione della gente. Macintosh è l’unico che corrisponde a questo concetto di standard.”

Chi credete che possa aver pronunciato questa solenne esaltazione del mitico Macintosh 128K in occasione dell’introduzione del rivoluzionario computer Apple, nel 1984? Mi dispiace, sbagliato. Non è Steve Jobs. Se state cominciando a percepire un odore di zolfo alquanto sospetto siete però sulla strada giusta per indovinare la risposta. Chi ha prodotto tale lusingante affermazione è proprio lui, l’eminenza grigia ed eterna nemesi del bianco cavaliere El Jobso: William Henry Gates III.

In una brochure diffusa in Italia e in altri paesi europei in occasione dell’uscita del Macintosh 128K, Bill Gates compariva come testimonial insieme a Mitch Kapor, Presidente della Lotus Development Corporation, e Fred Gibbons, Presidente della Software Publishing Corporation. L’arcano è presto svelato: sia Microsoft che le altre due compagnie figuravano fra le principali software house impegnate nello sviluppo di applicazioni per il nuovo nato di casa Apple. Nel 1984 i rapporti fra Apple e Microsoft erano ancora relativamente buoni, o se volete metterla in un altro modo, possiamo dire che a Redmond non avevano ancora iniziato a copiare spudoratamente i colleghi della Valley.

Qualche tempo fa ha destato vivace interessamento una fugace rivelazione di Melinda Gates: in un intervista a Fortune la consorte di Bill confessò che ad avvicinarla all’informatica fu un Apple III che suo padre acquistò quando lei aveva 16 anni. Non è dato sapere quali inspiegabili motivazioni, esclusa l’inevitabile cecità dell’amore, possano aver deviato dalla retta via l’innocente Miss Melinda French. Con la necessaria ironia, possiamo azzardare una strampalata ipotesi: la futura signora Gates lesse la brochure in cui Bill pubblicizzava il Macintosh, innamorandosi di quel buffo e simpatico geek che condivideva la sua ammirazione per i prodotti partoriti dalla geniale mente di Steve Jobs, ignara del grigio futuro che l’attendeva. Bill l’avrebbe allontanata dal suo primo vero grande amore (informatico), quello che non si scorda mai a meno che non intervengano i bilioni di dollari di tuo marito a lenire il rimpianto e a convincerti che Windows, in fondo, non è che sia poi tanto male.

Vent’anni dopo, quell’incredibile testimonianza sul volantino rimane come monito a non fidarsi di chi si sdilinquisce nell’esaltazione di una creazione di qualcun altro, perchè sta probabilmente pensando di rubarne spudoratamente l’idea di fondo. Tuttavia oggi, la cortina di ferro che ha separato Redmond da Cupertino per due decadi si è quasi definitivamente dissolta e la saggezza che deriva dall’età –demenza senile, la definirebbero i maligni– ha convinto Steve a fare un passo verso Bill e l’adozione di questa politica del disarmo sta producendo risultati positivi: un numero sempre maggiore di utenti che decidono di passare ad Apple.

L’articolo rispecchia il parere personale dell’autore. La ricostruzione sintetica della vita di Melinda French Gates è puramente fittizia. Sappiamo benissimo che nella realtà vivere accanto a Bill Gates dev’essere stato molto, molto peggio di così.

Tutte le immagini della brochure appartengono ad AllAboutApple, associazione savonese di Apple users che cura un interessante e ben fornito Apple Museum.

Redazione

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