iTunes Subscription: il 50% degli utenti accetta la cessione dei dati

di Redazione Commenta

Non è un mistero che la raccolta di informazioni anagrafiche sulla propria clientela abbia un peso importante nelle economie di molti editori di riviste e periodici. Non a caso durante le prime fasi del lancio delle nuove iTunes Subscriptions una delle principali paure che trattenevano gli editori dall’accettare i termini e le condizioni di Apple era quella di dover rinunciare alla profilazione approfondita dei propri lettori.
Ora sembra che molti pezzi grossi del settore abbiano iniziato a ricredersi, a partire da Hearst e Condé Nast che nei giorni scorsi hanno iniziato il roll out di versioni delle proprie app/riviste aggiornate per supportare gli abbonamenti in-app di Apple. Il motivo di questo cambiamento di rotta lo svela Jeff Bercovici di Forbes: circa il 50% degli utenti accetta di condividere informazioni con gli editori volontariamente, cliccando sul pulsante “consenti” quando compare il pop-up di opt-in previsto dalle API delle in-app subscription.

Il dato non è campato in aria perché è stato confermato direttamente da Eddy Cue, il Vice President Apple che si occupa in prima persona di tutta la questione subscription, al fondatore della Nomad Editions Mark Edminston, agenzia di sviluppo specializzata nella realizzazione di magazine digitali per i tablet.

Il 50%  è una percentuale davvero alta per un opt-in digitale e come fa giustamente notare Bercovici è da attribuire con ogni probabilità a due fattori. 1) Le in-app subscriptions prevedono che l’editore possa chiedere solamente nome, email e codice di avviamento postale, dati non particolarmente sensibili che un qualsiasi utente Web è di norma abituato a fornire spesso. 2) Gli utenti ripongono una notevole fiducia nella piattaforma e acconsentono alla richiesta di fornire i propri dati perché a chiederli è il loro iPad. La forza del walled garden, insomma.

“Vi immaginereste mai il 50% degli utenti fare un opt-in di qualsiasi genere là fuori nel Web aperto?” scrive Bercovici. “Proprio no. Ma all’interno dei confini curati e ben mantenuti dell’App Store è tutta un’altra faccenda.”

Foto: Steve Rhodes su Flickr

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