Pandora e il futuro della musica, lontano dall’Italia

di Redazione 2

C’è un’applicazione per iPhone e iPad, nell’App Store, che sta ridefinendo (assieme ad altre simili) il futuro della musica e della sua fruizione. Si chiama Pandora e poiché per garantire l’accesso ai brani in streaming ha bisogno di stringere accordi specifici con i detentori dei diritti dei pezzi in catalogo, in Italia probabilmente non la vedremo ancora per un bel po’. O magari non la vedremo mai. Ci perdiamo, insomma, il meglio di una rivoluzione inevitabile. Non lo dico solo per entusiasmo, ma perché ho letto i numeri che il fondatore di Pandora ha diffuso in un articolo pubblicato ieri, a dimostrazione che il servizio sta realizzando una piccola grande utopia: permettere ad un numero sempre maggiore di musicisti, anche se sconosciuti al grande pubblico, di vivere direttamente della propria musica.

“Avete mai sentito parlare di Donnie McClurkin, French Montana o Grupo Bryndis?”, chiede Tim Westergren nel suo articolo. “Se la risposta è no, non siete soli. Sono artisti le cui vendite su Amazon si posizionano al 4752°, 17000° e 183.187° posto. Sono artisti che vivono bene fuori dal mainstream, che non hanno una rotazione fissa in radio, nessuna opportunità di aprire concerti in tour importanti e nessun piazzamento nella home page dei negozi di musica online. Ciò che hanno in comune è un introito fisso da parte di Pandora. Nei prossimi dodici mesi Pandora verserà loro dei diritti di riproduzione di 100.228$, 138,567$ e 114,192$, rispettivamente, per la musica che serviamo alla loro base di fan già grande e in rapida crescita.”

E se questi sono i numeri per tre illustri sconosciuti, continua il fondatore, per gente del calibro dei ColdPlay, Adele ed altri Pandora sborsa più di un milione di dollari ciascuno. C’è chi fa ancora di più: Lil Wayne e Drake arrivano anche a più di 3 milioni di dollari all’anno.

Il succo è che un servizio come Pandora, grazie all’avvento di connessioni mobili sempre più veloci e affidabili (anche se non dappertutto) che ne aumentano la fruibilità su dispositivi come iPhone e gli smartphone Android, è davvero un’alternativa alle radio e ai loro palinsesti decisi ancora dalla major.

Con un mero 6,5% di penetrazione nel mercato radiofonico, Pandora versa agli artisti più di quanto non facciano le emittenti che si beccano la fetta più grande della torta. Westergren parla, un po’ enfaticamente, di una nuova “middle class” di musicisti (vero, se si considera che il flusso di “cash” che arriva da Pandora non ha obbligo alcuno di esclusività) e ci tiene a puntualizzare che quelle conquistate dal proprio servizio, che chiede un abbonamento mensile di base pari a qualche dollaro, sono tutte orecchie rubate alla pirateria.

Il quadro è, nel complesso, positivo ed affascinante. Il dubbio, però, è ancora la sostenibilità di un simile mercato. A tradire il fatto che i conti non potrebbero tornare a lungo, a meno di un serio cambiamento, è la chiusa finale di Westergren, che chiede ai legislatori una modifica delle norme che permetta a servizi come Pandora di pagare cifre inferiori che allarghino la base di investitori e il potenziale di un servizio come quello da lui fondato. Il ragionamento è semplice: tariffe più basse, a fronte di una base d’utenza (e dunque un numero di riproduzioni) molto più grande, che consentirebbe agli artisti di guadagnare ancora di più.

Nell’equazione ci sono aspetti positivi e negativi, complicazioni e problemi da risolvere, naturalmente.
Che in servizi come Pandora (o Spotify, o Rdio, tanto per citare un po’ di concorrenza) si celi il futuro digitale del broadcasting musicale, però, è più di una sensazione.

Al contrario è una certezza che noi, dal nostro stivale, per osservare il cambiamento ci dobbiamo armare di un binocolo. E di un buon proxy che non tradisca la provenienza geografica del nostro IP.

 

Commenti (2)

  1. qui in italia abbiamo però deezer…che è ottimo.

  2. Il problema sarebbe che i diritti d’autore verrebbero comunque riconosciuti all’artista da parte della Siae?
    E senza accordi con il servizio …niente servizio….giusto?
    In pratica una dittatura artistica?

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