AT&T e quella scommessa su Steve Jobs

di Redazione 1

In una “scala del livello di noia” le storie sulle partnership commerciali fra una grande azienda di telecomunicazioni e un gigante dell’elettronica stanno poco sopra la centoduesima replica di una puntata di Beatiful e un concerto per triangolo solo.
Un’interessante eccezione la propone Forbes con un articolo di Connie Guglielmo sui retroscena dell’accordo con cui AT&T e Apple decisero di collaborare per il lancio dell’iPhone. I protagonisti principali sono Steve Jobs e Ralph De La Vega, che non è un personaggio di Zorro ma l’allora COO di Cingular Wireless (controllata di AT&T).

Quando Apple stava ancora costruendo il suo primo iPhone, nel 2006, Steve Jobs chiamò De La Vega e gli chiese cosa avrebbe dovuto fare la sua azienda per costruire un dispositivo che funzionasse al meglio sulle reti del carrier.

“Non parlo di come si costruisce una tastiera e robe così“, fu la richiesta di Jobs secondo quanto ha raccontato a Forbes De la Vega. “Intendo dire i componenti interni di radiocomunicazione che funziono al meglio”.

Il COO di Cingular inviò allora a Steve un manuale interno da 1000 pagine con tutti i dettagli per la realizzazione di un simile dispositivo.
Neanche 30 secondi dall’invio del PDF per email, ed ecco di nuovo una chiamata da parte di El Jobso:

“Hey, ma che diamine! Che succede? Mi mandi questo documento enorme e le prime cento pagine riguardano lo standard per la tastiera?”

La risposta di De la Vega fu una scommessa e un piccolo grande affronto alla burocrazia interna: “Steve, scusa se non abbiamo tolto quelle 100 pagine prima di inviarti il documento. Puoi ignorarle, non si applicano per te”.

Ralph De La Vega

Con quel breve ma significativo scambio il COO di Cingular Wireless aveva praticamente deciso di scommettere (e scommettere forte) su Steve Jobs, come avrebbe commentato poi Randall Stephenson, il CEO di AT&T. Ed è proprio in questi termini che l’accordo con Jobs fu “venduto” da De la Vega ai suoi superiori. Al dirigente, data la riservatissima NDA firmata nell’ufficio di Steve, non era consentito illustrare i dettagli dell’iPhone, allora segretissimo, neppure al proprio CdA. “Fidatevi, questo telefono non ha bisogno delle prime cento pagine”. Nessuno nel consiglio, immaginava che il telefono in oggetto fosse dotato della tastiera software che oggi tutti conosciamo e “diamo per assodata” su qualsiasi dispositivo touch.

Una serie di mosse azzardate e fuori dagli schemi, senza le quali, probabilmente, l’iPhone non sarebbe diventato quello che conosciamo.
Il telefono di Steve Jobs, che a giugno del 2007 fu poi lanciato con il brand AT&T e non più Cingular, quello della controllata con cui l’accordo originale era stato stipulato, contribuì a svecchiare “Ma Bell” tutto di un colpo.
Fu il singolo evento che “rese mobile” davvero un operatore che fino ad allora continuava a trarre i maggiori ricavi dalle linee telefoniche tradizionali.

AT&T accumulò un vantaggio rispetto alla concorrenza che tuttavia si rivelò anche particolarmente oneroso. Gli investimenti che l’operatore si trovò a dover realizzare nel giro di pochissimo (70 miliardi in tre anni) per permettere alla rete di reggere il carico crescente di un dispositivo come l’iPhone, erano totalmente inaspettati.

“Improvvisamente si passò dal pensare che 40.000 celle fossero sufficienti a pensare che ne avremmo dovute avere un multiplo di quel numero”.

L’articolo di Connie Guglielmo è una lettura interessante, anche se lo “spin” pro-AT&T dell’intero pezzo nella seconda parte è ben poco celato. Consigliato.

 

 

Commenti (1)

  1. Sempre gustose queste chicche sul primo iPhone che fu davvero un game-changer!
    Chissa cosa sarebbe oggi Apple se Google non avesse tirato fuori Android?!

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