Mike Lee (ex-Apple) parla del processo di revisione di App Store

di Redazione Commenta

Il meccanismo di approvazione delle applicazioni che finiscono su App Store, nonostante siano passati anni dall’apertura del marketplace di iOS, è ancora relativamente oscuro. Si sa poco, in particolare, del team che quotidianamente passa in rassegna migliaia di applicazioni e decide che cosa può o non può entrare nel giardino recintato. Business Insider ha pubblicato una (breve) intervista a Mike Lee, un ex ingegnere senior di Apple, che lascia trasparire qualche informazione in più e ci fa capire, in parte, perché una rubrica come la nostra iPacchi possa continuare ad esistere.

Il succo di quanto rivelato da Smith a Business Insider è che il processo di controllo delle applicazioni è impostato in maniera ferrea per evitare che sull’App Store ci possano finire contenuti pornografici. Interessante la motivazione addotta: non è una questione di pruderie, ma di semplificazione del processo di revisione.
Bloccare qualsiasi tipo di elemento vagamente erotico e non discriminare su questo genere di contenuti permette di impostare delle barriere software che “bloccano anche un cetriolo”, e di sicuro non fanno passare contenuti a base di genitali maschili. E’ più semplice escludere manualmente i falsi positivi, insomma, che scartare la miriade di app pornografiche che, nonostante le regole siano chiare, vengono inviate ad Apple ogni giorno.

Un altro aspetto interessante riguarda l’organico del team di revisione, ridotto volutamente all’osso, in modo che al lavoro su questa operazione rimangano solo i “pochi migliori” che sanno svolgere la mansione al meglio. Ed è tipica di Apple anche la volontà di non sfruttare l’outsourcing per una procedura spesso ripetitiva, che una grande forza lavoro in paesi dell’Est Europa o in India potrebbe svolgere più rapidamente. Non è una mossa patriottica, sia ben chiaro, ma un’altra faccia della tendenza al controllo (e l’aspirazione alla qualità totale) tipica dell’azienda.

Quel che più delude di questa testimonianza, però, è che Lee (e nemmeno Business Insider) fa alcun riferimento al vero grande problema dell’App Store: vale a dire la presenza di applicazioni truffa, quelle che chiamiamo appunto iPacchi. Applicazioni che da un punto di vista tecnico sono perfettamente in regola ma non fanno assolutamente ciò che promettono, infrangono palesemente diritti d’autore di terzi o ancora più semplicemente non funzionano o funzionano malissimo (perché magari semplici contenitori che rimandano a pagine web esterne).

E’ evidente che una soluzione al problema, particolarmente presente e sentito negli App Store periferici come il nostro, non esiste ancora. Quel che non è chiaro è quanta consapevolezza abbia della questione il team di revisione e se, soprattutto, siano in corso tentativi per migliorare anche in questo senso un procedimento che, pur efficacissimo nel riconoscimento dei “cetrioli”, fallisce palesemente nel bloccare (magari anche a posteriori) un gran numero di applicazioni che nel complesso servono solo ad abbassare la qualità media dell’App Store.

 

 

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