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L’App Economy ha creato mezzo milione di posti di lavoro in 4 anni

La recente inchiesta del New York Times su Foxconn e sui lavoratori cinesi che producono l’iPhone e l’iPad affrontava la spinosa questione sotto due punti di vista: da una parte il problema delle centinaia di migliaia di operai costretti in condizioni inaccettabili per gli standard occidentali, dall’altra la problematica più strettamente politica, d’attualità in tempo di elezioni: se quella produzione avvenisse sul suolo patrio, potrebbe dare lavoro a centinaia di migliaia di americani.
Riportare il “lavoro cinese” in patria è uno dei cavalli di battaglia di Rick Santorum, uno dei candidati repubblicani alla Presidenza degli Stati Uniti.
Quello che i politici come Santorum non considerano (oltre al fatto che gli Stati Uniti non hanno più il substrato sociale necessario perché produzioni come quella degli iPhone e degli iPad possano davvero funzionare in patria) è che la rapida diffusione dei dispositivi come l’iPhone ha già creato centinaia di migliaia di posti di lavoro. Circa 500.000 in 4 anni, secondo uno studio sull’impatto della “App Economy” condotto da TechNet.

L’App Economy, è bene precisarlo subito, non riguarda solo Apple, ma per lo studio in questione TechNet ha comunque scelto il lancio dell’iPhone (giugno 2007) come punto zero.
Nel computo delle professionalità impiegate in questo settore non ci sono finiti solamente programmatori e informatici, ma anche molti altri “lavori” generici, dalla segretaria al PR, dal consulente fiscale alla receptionist, pagati dagli introiti di aziende piccole, medie e grandi che sviluppano app per iOS, Android o per le piattaforme online come Facebook (Zynga, ad esempio) o l’ecosistema Chrome. Una realtà in rapida crescita, totalmente scollegata dalla produzione, certo, ma che appare più solida e convincente, ad esempio, della New Economy di fine anni ’90.

Lo studio prende dunque in considerazione i dipendenti Apple che si occupano dell’App Store, assunti dal 2008 ad oggi, gli sviluppatori indipendenti, i distributori e service provide per developers, i PR, gli account, i product manager e l’intero organigramma delle divisioni “mobile” di grandi software house come Gameloft o Electronic Arts, e chi più ne ha più ne metta. 466.000 lavoratori che in qualche modo hanno beneficiato, in un periodo di crisi, delle possibilità offerte da un mercato in rapidissima ascesa.

Lo studio, che riguarda unicamente gli U.S.A., ha messo in evidenza un altro aspetto interessante: la dispersione geografica delle professionalità su tutto il territorio degli Stati Uniti. La California (l’area di San Francisco e San José in particolare) e New York sono comprensibilmente i due centri nevralgici del settore. Tuttavia i 2/3 dei lavoratori presi in considerazione per lo studio svolgono la propria professione in altri stati (Texas, New Jersey e Illinois in testa) compresi centri sparsi anche nel Midwest.

Lo studio è stato curato dal Dr. Michael Mendel della società di consulenza finanziaria South Mountain Economics LLC.
Maggiori dettagli sulle modalità di realizzazione della ricerca e su molti altri aspetti sono reperibili nel PDF liberamente scaricabile dal sito di TechNet.

Redazione

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