Scuola, iPod e tecnologia. Un Commento.

di Redazione 7

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Uno studio condotto su un un gruppo di otto studenti in un istituto di Melbourne ha mostrato come sia possibile un integrazione efficace fra le nuove tecnologie e l’apprendimento. Lo studio ha una valenza limitata, visto l’esiguo numero degli studenti che hanno partecipato all’esperimento, ma è comunque interessante perché aiuta a capire come gli studenti possano essere aiutati nei loro compiti dall’utilizzo dei gizmos che amano e con cui hanno grande familiarità. Al centro dell’attenzione, l’iPod.
Il lettore multimediale di Apple è stato utilizzato dagli otto studenti, che alla fine del periodo di prova hanno riportato buoni risultati nel profitto, per portare sempre con se gli appunti, i libri (i podcast delle lezioni?)  e come riproduttore dei contenuti da loro creati a fini scolastici, rendendo l’apprendimento delle comuni materie meno noioso e più pervasivo.

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L’esperimento non è una novità assoluta, come dimostra l’esperienza di questa scuola dell’Iowa. “Studi” di questo tipo riempiono sempre facilmente le pagine dei giornali e se ne trovano di ogni genere su internet. Basta scrivere “studio inglese” (o “americano”, “australiano” e così via) su Google e il numero di risultati parlerà chiaro. Spesso però, se non si tratta di studi dai toni allarmistici, sono ricerche futili che hanno il solo scopo di legare il nome di chi le ha commissionate al nome di un prodotto di largo consumo, senza provare magari nulla di preciso. Tanto per portare un esempio, qualche tempo fa un diciassettenne del Michigan avrebbe dimostrato, con l’aiuto un medico amico del padre, che gli iPod interferiscono con gli i pace-maker cardiaci, provocando errori negli esami cardiologici e malfunzionamenti. L’età media dei pazienti era di 77 anni; un bel titolo per lo studio sarebbe potuto essere: nonni, attenti ai nipoti con le cuffiette bianche.

Scherzi a parte, l’esperimento condotto a Melbourne ha comunque una valenza positiva e, seppure senza la pretesa di voler provare nulla di definitivo, ha proposto un modello nuovo per l’apprendimento e l’insegnamento, focalizzando l’attenzione sulle possibilità offerte agli studenti dai nuovi comuni mezzi tecnologici che quotidianamente hanno a disposizione.
Spesso le esperienze di questo tipo sono purtroppo molto lontane da noi, come nel caso del professore di storia americano che spopola con i podcast delle sue lezioni, o il caso dei laptop Apple distribuiti agli studenti di Kansas City, di cui vi avevamo parlato tempo fa.

L’idea di coinvolgere gli studenti a partire da ciò che può interessarli e stimolarli di più è sicuramente vincente. Nelle scuole italiane, però, sono sempre molto rari i casi in cui l’insegnamento segue la direzione dell’innovazione, e spesso le eccezioni sono dovute alle intuizioni di qualche professore illuminato.

Al liceo ebbi la fortuna di vivere una di quelle eccezioni: il nostro professore di greco , parallelamente alle lezionipowermac.jpg tradizionali, teneva alla mia classe dei corsi di informatica umanistica. Aveva metaforicamente sbattuto sulla cattedra del preside i suoi venticinque anni di anzianità ed aveva fatto acquistare alla scuola un PowerMac G3 per poter utilizzare il Thesaurus Perseus della lingua greca, da lui acquistato personalmente dalla Tuft University e che al tempo veniva venduto con un tool di esecuzione e ricerca sviluppato soltanto per i computer Apple. Fece nascere in me l’ amore per lo studio di una materia  ostica come solo una lingua morta riesce ad essere (e l’amore per i Mac, ma questa è un’altra storia).

C’è la necessità che la scuola si appropri in maniera seria della dimensione della tecnologia, affinché l’unione di scuola e tecnologia non continui ad indicare solamente i video di bullismi e varia mala-educazione, girati con i videofonini e caricati sul palco silenziosamente caotico ed affollato di YouTube. La ricerca di Melbourne può essere un punto di partenza per una reale presa di coscienza e una vera analisi del problema che non si nasconda dietro a facili “politicismi”.

Commenti (7)

  1. Gran bel post, complimenti!

    Condivido quanto dici, tuttavia il problema della scuola italiana è sempre e comunque legato ai quattrini.

    Come si può educare all’uso consapevole della tecnologia quando non ci sono i mezzi? Nella scuola italiana ci sono pochissimi laboratori efficienti, i computer sono obsoleti e spesso mancanti del tutto, per non parlare dei sussidi didattici: una roba da sganasciarsi dalle risate!

    Spesso e volentieri accade proprio il contrario di quanto è accaduto al tuo lungimirante professore. Se ci sono insegnanti bravi e al passo con i tempi, rimangono incompresi e gli stessi dirigenti, combattendo quotidianamente con i bilanci, sono i primi a disincentivare.

    Mi dispiace essere così drastico, ma da osservatore privilegiato, da insegnante e formatore che vive la scuola da dentro, mi limito a costatare un dato di fatto.

    Ciao, Alberto

  2. Grazie Alberto per il tuo interessamento e per il tuo apprezzamento!

    Non sei drastico, semplicemente prendi atto della reale situazione della scuola nel nostro paese. Come possiamo sperare che in una scuola si possano trovare i soldi per qualcosa di innovativo quando a volte non si riesce nemmeno a garantire i servizi essenziali ? Purtroppo la situazione è davvero grave.

    Ciao !

  3. La penso esattamente allo stesso modo! Finalmente qualcuno ne parla!!!!
    Ancora mi domando perché la scuola non è ancora passata a Linux, risparmierebbe milioni di euro in licenze! Probabilmente perché i nostri politici non sanno neanche cosa sia Linux :(

  4. Sono assolutamente d’accordo con te Riccardo. Anche io sono un sostenitore di Linux.
    E pensare che un computer con una distribuzione di linux come red hat , o ubuntu e un corredo di applicazioni come open-office , gimp e consimili avrebbe veramente un costo risibile.
    La pubblica amministrazione è un altro campo in cui si potrebbe tranquillamente sperimentare in ambito open, ma purtroppo questo è un argomento che la gente comune non capirebbe a fondo ed avrebbe un “ritorno” elettorale sicuramente ininfluente per quegli amministratori che poi fanno realmente le scelte.

  5. Non dimentichiamo che la stragrande maggioranza degli insegnanti è formata su Windows e pensano che Ubuntu sia il nome di uno stregone africano…

  6. Beh, io sono un ammiratore di Desmond Tutu (reverendo Sudafricano con grandi meriti nel periodo di transizione pre/post apartheid). Lui ha definito UBUNTU uno spirito aperto e disponibile con gli altri.

    Magarari la stragrande maggioranza degli insegnanti formati su Windows pensano a questo…

    ;))) (se, magari,,,,)

    Cmq ospitare Maestro Alberto nelle pagine del nostro blog fa sempre piacere!

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